Tra acquarelli e parole – Primo incontro

Acquarello di Federica Maffezzoni

Poesia di Federica Sanguigni

Aspetto che torni il mare
a ubriacarmi con le sue onde
mentre respiro il tramonto
tra margherite e papaveri.
Ho spostato lo sguardo
dai tuoi occhi
alle pagine di un libro dimenticato.
Aspetto che tornino le rondini
ad accompagnarmi nel cielo
per il mio volo a primavera.
Liscio le ali
osservo le nuvole.
Non voglio cadere a terra.
Svesto i colori grigi dell’inverno
ho un arcobaleno da indossare
e una prateria vergine da fecondare.
Davanti a me
una macchia di colore
fiori come sentinelle
mani tese
profumo del mio risveglio.



Racconto di Maria Cristina Sferra 

NOMEN OMEN

Flora era originaria di un paesino della Spagna meridionale affacciato sul Mediterraneo. Lì, da ragazza, aveva amato un uomo, un marinaio che le era stato rubato da un’onda, anche se a lei piaceva immaginare che fosse stata una sirena a portarlo via.
Flora lavorava in una piccola città ai piedi delle Alpi come insegnante in una scuola elementare. A lei, che anche se ancora giovane si sentiva di un’altra epoca, piaceva continuare a chiamarla così e non primaria, come si usava ormai da tempo.
I bambini le volevano bene e la trovavano buffa e un po’ strana, con quei suoi cappelli bizzarri intonati alle stagioni. La maestra, dicevano, sapeva tantissime cose, soprattutto sulla natura.
Flora li affascinava con i suoi racconti di foreste e piante, erbe spontanee, pietre misteriose e animali selvatici. Inventava anche bellissimi giochi da fare in classe, giochi di creatività con carta, colori, pennelli, foglie, frutti, legnetti, semi, emozioni.
Le altre maestre la guardavano con curiosità ma anche con una vaga diffidenza. Diverse volte l’avevano invitata a unirsi a loro per bere un tè insieme nel pomeriggio, ma lei aveva sempre rifiutato, adducendo la scusa che a casa l’aspettavano e non poteva tardare.
Così aveva iniziato a girare voce che avesse una famiglia stravagante come lei, composta da un marito barbuto che faceva il guardaboschi e tre figli in età scolare che avevano bisogno della sua presenza non appena finiva le lezioni.
Nessuno poteva immaginare che le piccole creature, quelle che l’attendevano gioiose, colorate e profumate sul davanzale della finestra più grande della sua casa esposta a sud, non avevano forma umana e che Flora, all’anagrafe Margarita Blanca Flor Soledad, portava da sempre il segreto del suo destino scritto nel nome di battesimo. Niente marito né figli, solo fiori per lei.


Fiaba di Maria Iarussi 

I fiori della felicità 

 In un paese non lontano da qui viveva Gelsomina, una ragazza che nel nome portava l'amore per i fiori.
Abitava con la numerosa famiglia in una casetta modesta, circondata da un fazzoletto di terra ricco di fiori profumatissimi.
Un giorno il padre di Gelsomina si ammalò  gravemente e venne a mancare l'unica fonte di sostentamento per la famiglia.
La ragazza si sentiva disperata né sapeva come aiutare la madre ad andare avanti.
Pensa che ti ripensa, le venne un'idea. "Ho un unico modo, i fiori profumati del giardino. Li porterò in città per venderli."
Al mattino successivo si alzò di buonora, raccolse i fiori più belli, li mise in un grande cesto e andò in città. Trovò posto in un angolo della piazza, lì dove passava più gente e con la sua voce argentina cominciò ad invitare i passanti all'acquisto. 
Mentre aspettava che qualcuno si fermasse, osservava l'andirivieni indaffarato: nessuno si guardava intorno né salutava. Tutti correvano a testa bassa.
"Non è una città di gente gioiosa, questa! - pensava tra sé - Tutti corrono accigliati. È proprio una città di musi tristi!"
Intanto il tempo passava e i suoi fiori erano ancora tutti lì.  Ormai stava perdendo la speranza di raggranellare qualche soldino, quando una bimba che andava a scuola costrinse la mamma a fermarsi. "Mamma, sono bellissimi questi fiori. Li voglio portare alla maestra. Dai, compriamoli!!!"
Attirato dalla voce ciarliera della bimba, si fermò un signore attempato con il giornale sotto il braccio, poi un giovane commesso del negozio lì accanto e poi ancora qualche altro. Uno dopo l'altro i mazzetti di fiori vennero venduti mentre nelle tasche di Gelsomina si raccoglievano parecchie monete.
La ragazza soddisfatta fece ritorno a casa e da quel giorno una volta a settimana la si poteva trovare all'angolo della piazza.
Man mano i clienti diventarono più numerosi e lei con il sorriso continuava a distribuire i suoi fiori ai Musi Tristi. 
"I miei fiori vanno a ruba - confidava alla madre - spero che prima o poi portino il sorriso." 
Un giorno, si era ormai alla fine di ottobre, Gelsomina, sapendo che nel giardino le piante non avrebbero dato più fiori, pensò di regalare ai suoi clienti un sacchetto di semi da piantate per la futura primavera. Si mise subito all'opera e dopo aver raccolto semi misti li mise in un sacchetto con un bigliettino.
"Ogni fiore una sorpresa! Abbine cura!" 
Gelsomina regalò i suoi sacchetti ai clienti con la raccomandazione di seminarli in un vaso e di innaffiarli di tanto in tanto. 
Ormai l'inverno era finito e nei vasi incominciarono a spuntare teneri germogli che ben presto diventarono foglioline di un bel verde smeraldo. 
Ma quale non fu la sorpresa quando un mattino la città si svegliò con balconi e finestre ricchi di fiori variopinti e profumatissimi.
Nessuno credeva ai propri occhi tanto più che anche le aiuole della piazza, le crepe nei muri e i cigli delle strade erano piene di un profluvio di fiori. Il vento aveva trasportato dappertutto i semi di Gelsomina.
Nessuno seppe mai, nemmeno i ben informati, che fine avesse fatto Gelsomina. Tutti, però, avevano capito che la bellezza è nelle piccole  cose, quelle semplici. È lì che si trova la felicità.
Da quel giorno la città dei Musi Tristi diventò la città che finalmente trovava il sorriso nelle piccole cose.
Io in gran segreto vi rivelo che Gelsomina trovò l'amore in un bravo e bel giovanotto. Ricordate? Proprio quello del negozio sulla piazza.