Tra acquarelli e parole – Quattordicesimo incontro

Acquarello di Roberto Latini

Poesia di Diego Baldassarre

Il Pilota

Distinguo il suono dell’aereo:
uno dei pochi ancora
che attraversano la fantasia

Da bambino mio padre
mi portava all’aeroporto:
mi piacevano le scie bianche
L’odore di Kerosene

lo sentivo attraversarmi
il naso e poi il corpo
sino alle ossa d’acciaio fuso

Sono qui: in attesa di un volo
che non decolla da anni
Ti vedo Pà sulla pista
mentre mi indichi il cielo.

Fiaba di Anna Grazia Zurlo

Un domani possibile

C’era una volta un mondo dispotico governato da androidi dove il tempo non aveva senso se non per quei pochi uomini, ridotti ad un misero manipolo di solo genere maschile, riprodotti in laboratorio. Essi nascevano e morivano senza pensare, ormai tanto simili alle macchine che servivano. In questo mondo pervaso da fumi vivevano, in una vecchia biblioteca che raccoglieva quel che restava dello scibile umano in un misto di magia, opere d’arte e libri di scienze, Leonard un anziano scienziato ed il suo giovane assistente Hope. Un giorno Hope, sfogliando un ingiallito libro di storia dell’arte ricco di immagini di bellissime donne ritratte e scolpite, ne rimase abbagliato e rivolgendosi a Leonard chiese: «Maestro… che cos’è una donna?» Leonard lo guardò meravigliato. Era alquanto strano che Hope pensasse ma era tale l’incanto, per quelle soavi creature, in quei giovani occhi che Leonard intravide un lampo di speranza per quel che rimaneva di quella umanità che sembrava essere dimenticata. Ed, in realtà, Leonard stesso poco sapeva sulla donna se non l’imperativo diniego di fabbricarne alcuna, una regola severa a cui ogni scienziato doveva attenersi ma, quella scintilla di curiosità gli aveva rammentato il vero scopo della sua esistenza. Così, facendo ricorso ad ogni suo pur fievole ricordo, con tono professionale rispose: «Mio giovane amico, questo è argomento assai tabù per questo mondo… ma curiosità va premiata! Una donna è composta da ossa, muscoli, carne e…» qui s’interruppe con un colorito rossastro in volto denso d’imbarazzo. «Allora… la donna è come un uomo… e se è così perché non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua immagine? Perché mi sudano le mani ed il cuore mi batte forte? Costruiamone una Maestro! Ecco la polvere d’ossa, la pelle essiccata, il filtro di vita e questo vecchio automa a cui manca un occhio» Disse andando su e giù tra gli scaffali. «Hope, ciò non basta a fare una donna! Occorrono i sentimenti!» «I sentimenti? Cosa sono, dove li posso trovare!» «Solo Eurlan, l’antico scriba, lo sa. Si nasconde nella fabbrica abbandonata ma se fossi in te…» «Ve lo porterò! Dovrò pur placare il battito del mio cuore!» Così dicendo corse via, spinto da una forza che non sapeva di possedere. Ritornò a tarda sera accompagnato da Eulan, uno strano figuro dalle sembianze di un mendicante. «Leonard… questo giovinotto… mi ha parlato di donne… sentimenti… ma sai bene che per procedere avrei bisogno del Divum, ed a meno che tu non ne abbia una copia, posso pure tornarmene a casa.» «Eurlan… il ragazzo pensa! Abbiamo una speranza! Io ho custodito il Divum… Ora tocca a te!» Eurlan aprì il libro «A me…polvere d’ossa e lembi di pelle…» Poi cominciò a parlare l’antica lingua degli angeli. Ogni tanto si fermava a mormorare: «Ha atteso tanto… nelle ossa ha la paura… a me di piume il manto bianco; blu è colore dei suoi ricordi… a me le essenze più profumate; negli occhi ha il riso ed il pianto… a me, del planetario, il sole e la luna e… nel petto… nel petto… l’amore sopito… eccoti la scintilla del mio cuore. Vivi ora!» Una mano evanescente si mosse verso il cuore ma un solo respiro fumoso, bluastro uscì da quel corpo. «Maestro… perché non vive!» Chiese Hope sgomento. «Perché ho dimenticato cos’è l’amore!» Rispose Eurlan, lo scriba dei sentimenti.

Racconto di Enrica Bardetti

Ultimo appello

Non ce l’ho più fatta. Al limite della sopportazione, la rabbia è esplosa. Ho tremato, sbuffato, sussultato. E adesso sono qui, che sto peggio di prima. Un’altra parte di me è a pezzi, come se non bastassero quelle che ha già distrutto lui. So benissimo che potrei mettere fine a questa relazione malata e ricominciare da capo. La mia forza rigeneratrice è viva, ce la potrei fare ancora, nonostante le ferite che mi ha inferto siano molto profonde. Ma immaginare un dopo senza lui mi è impossibile. É una parte di me e quando vuole sa rendermi migliore. Il nostro rapporto non è sempre stato così complicato, c’è stato un tempo in cui ricambiava il mio amore, prendeva senza prevaricare e non dimenticava mai di dimostrarsi grato per i doni che riceveva. Poi è cambiato. É diventato sempre più egocentrico e egoista. Sempre meno sensibile ai miei bisogni, esclusivamente concentrato sui suoi, che giorno dopo giorno si moltiplicano come tanti funghi velenosi. Così, preso dall’ossessione di accaparrarsi e accumulare anche le cose più inutili, non esita a sfruttarmi come meglio può e se non riesco a dargli quello che chiede, mi costringe ad assumere sostanze chimiche che bruciano il mio corpo e lo rendono sterile. Ancora non capisco se si è reso conto che distruggendo me, decreta anche la sua fine o se invece è proprio questo, che vuole. Nei giorni in cui sono più sofferente, quando i polmoni mi vanno in fumo o altro veleno mi viene versato nelle arterie, penso di farla finita. Di non aspettare che sia lui a farmi esalare l’ultimo respiro, di essere io a far finire tutto, lui compreso. Immagino di far scoppiare i tubi del gas che ha disseminato ovunque, far saturare l’aria e poi accendere la scintilla che provoca la deflagrazione definitiva o di alzare il livello delle acque e sommergere tutto. Questa volta però senza dargli il tempo di costruire un’Arca. Accumulo per giorni il rancore nei suoi confronti, alimento i miei progetti di distruzione con macabro gusto e quando mi sembra di aver imboccato l’unica via percorribile, ancora una volta lui, con un piccolo gesto, riesce a cambiare le carte in tavola. Lo sorprendo a guardare estasiato un paesaggio o un tramonto e mi commuovo senza ritegno, lo ascolto mentre programma un nuovo futuro e pronuncia parole come Armonia e Rispetto e mi sento sbocciare dentro un alito che accarezza le fronde degli alberi e increspa la superficie delle acque in un canto che dice: «Ascolta il tuo cuore, Uomo. Siamo ancora in tempo, avvia il processo di guarigione».