Tra acquarelli e parole – Sesto incontro

Acquarello di Igli Arapi

Poesia di Alessandra Montesanto

Acqua verde
iride la tua
Approdo dello spirito
per chi cerca terra placida.
Io cerco vento
ristoro per smania di vita,
lo sguardo,
vagabondo all’orizzonte.
Non fa per me
la pazienza.
Iride la tua
acqua verde
accoglie l’inquietudine
e con me
attende il ripartire.


Fiaba di Giuseppina Palese


La bambina col mare negli occhi

C’era una volta una bambina che viveva vicino al mare e sognava di andare a farsi lambire dall’onda di risacca per poi immergersi, ad ascoltare quel suono ovattato che è il respiro del mare, fra alghe fluttuanti, ricci scuri spinosi, coralli ramificati preziosi e anemoni rossi. 
Suo padre le aveva dato il nome di una Nereide: Glauce, l’azzurra. Le cantava sempre una canzone scritta per una donna che aveva “il mare negli occhi”, perché anche lei aveva gli occhi azzurri e limpidi. La gente glielo ripeteva sempre, con affetto misto a tenerezza. Perché il padre non c’era più: il mare l’aveva voluto con sé e non era più tornato con la sua barca. 
Sua madre da allora non aveva più voluto che lei si immergesse: il terrore di perdere anche lei la faceva essere irremovibile.
Gli anni passavano e lei era diventata una splendida ragazza, con i capelli talmente neri che avevano un riflesso azzurro anche loro. 
Un giorno, nei vicoli tortuosi del suo paese, vide sulla soglia di una porta semiaperta una vecchia signora, che le fece cenno di avvicinarsi, con un sorriso.
La vecchia le raccontò che era emigrata giovanissima in un paese lontano, ma era tornata, perché gli ultimi anni li voleva trascorrere nel luogo in cui era nata. Poi, spostandosi, fino a un’apertura fra i muri della casette, da cui si vedeva uno scorcio di mare, le disse, indicando un punto lontano:
- Vedi quello scoglio laggiù, alto come una torre? Là le correnti hanno trascinato uno scrigno molto prezioso. Va’ a prenderlo: è tuo! – La ragazza le chiese come facesse a saperlo.
- Me l’ha confidato un vecchio pescatore, e so per certo che è così. -
A Glauce non interessavano tesori e ricchezze: aveva abbastanza per vivere. Però il mare e la curiosità esercitavano un potere fortissimo su di lei.
Trovò il momento buono per parlarne alla mamma. Lei prima pianse, poi le disse:
- Figlia mia, basta ora con le mie assurde paure! Va’ tranquilla: tuo padre dal cielo ti guarderà.-
Glauce si preparò a fare esercizi di immersione: doveva riprendere confidenza col mare. Vide una bella barca alla fonda e un giovane che si tuffava da essa e veniva a grandi bracciate verso la riva.  Si chiamava Achille. La volle aiutare nelle immersioni.  
Venne il giorno in cui presero la barca e arrivarono allo scoglio. Si calarono entrambi e, proprio dove aveva indicato la donna, trovarono una cassettina ermetica. La portarono a casa di Glauce. La aprirono e trovarono una treccina di capelli nerissimi con un nastrino rosso, un paio di scarpette rosa da neonata, alcuni disegnini fatti dalla mano di un bambino… 
La mamma scoppiò in lacrime, e Glauce capì: era il portafortuna che suo padre teneva con sé in mare.
Corse di furia verso i vicoli dove aveva incontrato la vecchia. Da una casa vicina uscì una donna e Glauce le chiese se l’avesse vista, perché lei aveva bussato inutilmente.
-Ma là non vive più nessuno da tempo. Erano emigrati. Gli eredi la devono demolire. Non c’è nessuna vecchia.- 
La ragazza non sapeva che cosa pensare. Quel misterioso incontro aveva mutato il rapporto di sua madre col mare e col dolore e aveva aperto a lei e ad Achille la porta della felicità.

Il racconto di Gabriella Raimondi

Danea

Era pomeriggio inoltrato, la ragazza si svegliò in un letto a lei estraneo, aveva addosso soltanto una camicia da uomo azzurra. La sua coscia era stretta da una fasciatura bianca. Non ricordava cosa le fosse successo, né perché fosse lì. Di fronte a lei, una piccola finestra incorniciava uno scorcio di mare con alcune barche colorate attraccate al molo. Provò ad alzarsi, ma un forte dolore alla gamba la fece ricadere sul letto. Il bicchiere d’acqua, appoggiato sul comodino, cadde in terra, frantumandosi.
A quel rumore, Moreno entrò nella stanza. La ragazza terrorizzata aprì la bocca per urlare, ma nessun suono uscì. 
Quella stessa mattina, all’alba, lui l’aveva trovata sulla spiaggia tornando a casa dopo una notte in mare povera di pescato. La giovane donna, dai lunghi capelli color del sole e mossi come onde di mare, giaceva esanime sul bagnasciuga, nuda e con una lunga ferita sanguinante alla coscia. Il giovane pescatore si era guardato intorno. Non c’era nessuno. Non sapeva cosa fare e non aveva mai visto prima quella ragazza. Forse era una turista arrivata fuori stagione. Avrebbe dovuto portarla in ospedale ma, in quella piccola isola, la guardia medica faceva servizio soltanto d’estate. Moreno si era tolto il giubbotto, l’aveva coperta, l’aveva presa in braccio e l’aveva portata nella sua casa proprio di fronte al molo. 
«Tranquilla, non voglio farti del male. Sono stato io a portarti qui. Hai una brutta ferita alla gamba, devo portarti in ospedale».
La ragazza scosse forte la testa per dire di no. Poi aprì ancora la bocca, come a voler dire qualcosa, ma emise solo silenzio.
«Cosa ti è successo? Come ti chiami? Non puoi parlare?»
La ragazza scosse ancora la testa e indicò la finestra. 
Moreno si avvicinò, l’aiutò ad alzarsi evitando che lei potesse ferirsi i piedi con i vetri in terra, e la portò vicino alla finestra.
«Vedi? Quella è la mia barca. Sull’isola non c’è un medico. Dobbiamo andare sulla terraferma. La vedi, lì in fondo? Non è lontana».
La ragazza lo guardò. I suoi occhi erano pieni di mare. Sorrise e fece di sì con la testa.
Moreno, allora, la prese in braccio e con lei attraversò la strada che, costeggiando la piccola spiaggia, portava fino al molo. La caricò dolcemente sulla sua barca bianca e azzurra. La sistemò a poppa con addosso il suo giubbotto da marinaio, e si assicurò che stesse comoda. Lui la guardava languido. Non aveva mai visto una ragazza così bella. Mise in moto la barca e diresse la prua verso il continente. Lei rimase seduta guardando lontano, mentre i suoi capelli leggeri ondeggiavano al vento.
Erano già lontani dall’isola, quando la ragazza si sporse dal fianco della barca, allungò il braccio, accarezzò l’acqua, si mise in piedi e, improvvisamente, si gettò. Moreno ebbe uno scatto, ma non fece in tempo a prenderla. Era pronto a tuffarsi quando vide la mano della ragazza farle un saluto e mandargli un bacio. Il giovane pescatore rimase immobile. Incredulo, guardò una coda d’argento sparire tra i flutti. 
Danea, finalmente, emise il suo canto e tornò a essere sirena.