
Poesia di Sonia Vannozzi
Come fiori la domenica Tra gli alberi zuppi di sole voci lontane ciottolano rotolando su rivoli di vento, insignificanti bisbigli nel frusciare della vita, che acquattata in un angolo all'ombra fresca ci contempla come fiori sbocciati di domenica.
Favola di Roberto Busembai (errebi)
Il ciabattino
In un paese di alta montagna, al limite delle ultime case, in una stanza attigua ad una piccola cappella votiva, sorta per volontà dei paesani e dedicata alla Madonna, esercitava la professione di ciabattino, Luigi, un uomo dai capelli bianchi e dal sorriso di un ventenne, cordiale e affabile lavoratore, un umile artigiano al quale tutti ricorrevano per aggiustare un tacco rotto o addirittura perso, per lucidare a nuovo le pelli di una calzatura sporca o addirittura, solo a chi poteva permetterselo, farsene fare una nuova su misura. Luigi era vedovo si può dire da sempre, la moglie fu richiamata in Cielo pochi giorni dopo che erano sposati, era giovane, bella e sorridente, l’unico suo grande rammarico, oltre al dolore sempre fermo della sua mancanza, era quello di non avere avuto figli. Un figlio, adesso che era vecchio, sarebbe stato d’aiuto, gli avrebbe insegnato il suo lavoro e adesso sarebbe stato lui a esercitarlo, con più lena e volontà di farlo. Ogni mattina, da sempre, apriva il piccolo negozio-laboratorio alle luci dell’alba e ogni sera al tramontare del sole se ne tornava a casa per dormire, un pranzo frugale nella metà del giorno e sempre lasciava qualche cosa di avanzo perché la sera, nell’andarsene posava una ciotola di coccio vicino alla porticina della cappella con dentro un poco di pane inzuppato in un sugo di pomodoro, qualche pezzetto di carne e a volte anche rimasuglio di verdure. Sapeva che nella notte, il Bruno, un selvatico cane dal muso di lupo, sarebbe venuto a mangiare. Bruno era un cane che tutti conoscevano, ma molti ne avevano timore e speravano sempre che non si avvicinasse al paese quando era giorno perché, temevano, avrebbe certo morso qualche passante o qualche bambino. Bruno invece, diceva il ciabattino, era un cane docile come un agnello che viveva solo, come lui, cercava umilmente qualcuno che lo accudisse e al contempo lo comprendesse e lo lasciasse stare a vivere nel bosco, che era il suo mondo. Una mattina però Luigi non venne al lavoro, e così il giorno dopo, e la gente oltre ad essere preoccupata per la sua salute, era in difficoltà per i lavori che gli avevano affidato, e altri che gli avrebbero dovuto dare. Ma dopo alcuni giorni, trovarono il negozio aperto, le scarpe erano tutte rinnovate, lucidate e pronte per essere prese dai relativi padroni, rimasero tutti meravigliati, sapendo che Luigi stava molto male e non sarebbe potuto venire a lavorare. Qualcuno volle fare una prova, lasciò una scarpa con il tacco rotto, con il proposito di ritornare il giorno dopo e vedere se era riparata. E il giorno fu proprio così. Si seppe poi dai curiosi, che nella notte le luci del negozio si accendevano, un’ombra di cane entrava e poi si sentivano dei rumori. Il Bruno, mormorò allora la gente, rendeva il suo servigio a colui che lo aveva sfamato e voluto bene. Una mattina, Luigi guarito, ritornando al suo lavoro, incontrò il cane, ma questi nel vederlo fece per scappare; il ciabattino lo richiamò e piano piano, quasi timidamente il cane si fece accarezzare, era la prima volta che Bruno cedeva all’uomo ed era pure la prima volta che Luigi provava un affetto così grande, come se il cane fosse per lui un figlio.
Racconto di Maria Rita Sanna
Ai confini della pace
La pace è il luogo in cui ogni uomo sotterra le proprie colpe per rinascere puro e consapevole. Ai confini di quel luogo ci sono io. Assassino, bandito, rinnegato dai miei genitori. Ho seguito una legge selvaggia, la vendetta, fatta di articoli che impigliano la ragione in supposizioni da cui si può uscire solo dimostrando la propria forza fisica. Il coraggio è pari a quello delle belve che urlano per incutere paura nascondendo la propria. Qui, avvolto tra i rovi, sto a guardare la vita scorrere. Le mie sorelle, pietose e consapevoli del mio dramma, mi abbracciano dopo avermi salutato per l’ultima volta. “Ritorna da noi, fratello caro, non temere la giustizia”. Le vedo allontanarsi nel sole, verso la casa di Dio, in quella pace che bramo da mesi, dove tutto risplende di gioia e verità. In volto e sulle braccia porto graffi di cui si nutre la mia ira verso chi mi ha trascinato in malafede nel vortice delle ingiurie. Aspetterò l’inverno, quando tutto si fa più scuro, e l’acqua delle piogge avrà riempito le pozze; il sole faticherà a riflettersi dentro ma avrà la forza di trascinarmi a sé e perdonare il mio cuore ghiacciato. Ecco, nella mia debolezza soffoco il coraggio di vivere, elevando la codardia sopra un falsopiano di dolore e tormento. Questo cane trovato nella mia strada ha, forse, più coraggio di me; segue un uomo che non conosce – se sapesse! – mi guarda docile, chiede solo una carezza, dona conforto con gli occhi nocciola. Sembra dire: Fidati, come io ho fatto con te. «Sei forse tu, Dio, a parlarmi attraverso l’animale?» Le campane suonano l’inizio della messa. Le persone si affrettano all’ingresso, le mie sorelle si girano un’ultima volta e si abbracciano. Le fronde dei querceti si agitano per l’improvvisa brezza, una nuvola di polvere arriva a farmi lacrimare. Tutto diventa sfocato, difficile da definire. Il manto vellutato del cane rassicura la mia volontà. «Andiamo, amico fidato. Allontaniamoci, per ora, da questi confini.»