Le rare volte in cui ho provato ad approcciare il genere del romanzo storico ne sono invariabilmente uscita con un senso di noia… Questo è accaduto fino all’inattesa opportunità che mi ha offerto la Fiera del libro di Cremona di conoscere “Da lontano, Venezia. I viaggi di Marco Polo” e la sua autrice, nonché talentuosa affabulatrice, Eufemia Griffo. Le piace tantissimo raccontare storie che sono prima nella sua testa e poi s’imprimono sulla carta con una magia che non si sa spiegare. Il suo stile nasce accostando la rigorosa ricerca storica a una spiccata sensibilità che deriva dall’amore per la poesia. Mi sono molto riconosciuta nel concetto “nulla va perduto finché ne narriamo la memoria”, che ha portato la scrittrice a impostare la storia partendo da una mamma dei nostri giorni, Margherita Polo, discendente del celebre mercante, che decide di raccontare al figlio Lorenzo di otto anni chi fosse Marco Polo. Ne esce un ritratto inedito che si concentra in particolare sull’aspetto umano di un ragazzino che ha l’ardire, nel secolo XIII, di partire da Venezia per raggiungere l’Impero Mongolo, il più grande all’epoca esistente sulla faccia della terra… Eufemia, rivelando un grado di empatia sorprendente, si pone una serie di domande a proposito di colui che spesso definisce “il mio Marco”: che emozioni, che aspettative avrà rispetto a un viaggio che lo porterà in un luogo leggendario come il Catai? Chi incontrerà, cosa imparerà? Quali saranno stati i suoi sogni al momento della partenza e quali resteranno ancora da realizzare dopo vent’anni di permanenza? C’è un interessante viaggio fisico da esplorare, che porta Marco, come un novello Alessandro Magno, ad andare sempre avanti, superando anche le tratte desertiche “che prosciugano i pensieri“, fermo nell’obiettivo di raggiungere la sua destinazione; altrettanto intrigante è il percorso di conquista di una maturità umana nell’arco di tempo che lo accompagna fino alla soglia dei quarant’anni. Lui è comunque fin da giovane un “essere speciale”, in grado di incantare attraverso la parola ogni anima che incontra, nella quale suscita un bene senza riserve… Un unico cuore, che però avrebbe voluto conquistare più di tutti, gli sarà “negato”, quello di Kokachin, già promessa sposa al Khan di Persia. C’è un sentimento però altrettanto importante dell’amore, l’amicizia, grazie al quale Marco potrà comunque “nutrire” i suoi giorni, un rapporto infatti particolarmente complice, seppur nel rispetto dei ruoli sociali, si instaurerà col mitico Kubilai Khan: riescono a comunicare e a comprendersi fin dai primi istanti. Fra loro inizia a scorrere un affetto duraturo e sincero che traspare limpido da questo scambio di battute avvenuto durante una delle loro partite a scacchi: “Quel che conta è dominare il gioco e non farsi sottomettere da esso, come nella vita, mio Imperatore, dove possiamo scegliere di essere dei pezzi o i giocatori che li muovono” disse Marco che aveva compreso la ragione per cui Kubilai aveva scelto quella scacchiera così difficile “Gli ostacoli sono solo barriere che costruiamo nella nostra mente” disse il Khan ”Da abbattere quando diventano troppo alte per consentirci di vivere” rispose Marco “Vedo che capite bene, ma di questo non avevo alcun dubbio.”
Lucia Dallabona