Il calendario celtico e i fuochi di Beltane

el dialetto della mia zona la parola corrispondente a “calendario” è “lunari”: chi lavorava (e lavora tuttora) nelle campagne, infatti, per le semine, i trapianti, le potature, gli innesti, l’imbottigliamento del vino deve tenere d’occhio la gibbosità calante o crescente di questo astro. Nei tempi antichi, quando l’umanità era più legata alla terra e all’agricoltura, la maggior parte dei calendari in uso erano lunari oppure luni-solari.

Anche i Romani avevano inizialmente un calendario lunare, ma poi adottarono quello solare per imposizione di Caio Giulio Cesare.

Anche presso i Celti il tempo era scandito dai cicli lunari, tant’è che la giornata iniziava non al mattino, bensì al calare del sole. La più importante testimonianza a questo proposito è costituita dal Calendario di Coligny, conservato a Lione. Fortunatamente questo reperto non è un unicum, però è il più completo. Risale al II sec. d.C., è suddiviso in sedici colonne, ognuna delle quali include quattro mesi lunari per un totale di 64 mesi (ossia cinque anni completi) di 12 mesi di 29 o 30 giorni ciascuno. Sono presenti anche due mesi accessori detti intercalari (della durata di 30 giorni ciascuno, inseriti ogni 30 lunazioni) per rendere il calendario luni-solare. Il calendario lunare è infatti di solito costituito da 354 giorni contro i 365 di quello solare. 

Nel corso dell’anno celtico, come già scritto nel precedente articolo dedicato alla Candelora, si tenevano otto importanti ricorrenze: i solstizi, gli equinozi e le quattro grandi feste dei fuochi.

Attorno ai primi di maggio si celebrava la festa dei fuochi di Beltane (o Beltene o Beltaine), corrispondente all’antica Calendimaggio. Era dedicata al dio Bel (o Belenus) che era una divinità della luce, segnava l’inizio della stagione calda e delle guerre, dava il benvenuto all’estate e alla stagione dei pascoli. Essendo la celebrazione della luce e del sole, erano particolarmente importanti i falò, realizzati seguendo un complesso rito. Nove uomini dovevano raccogliere la legna da nove piante diverse (quercia, salice, sorbo, nocciolo, biancospino, betulla, melo, tasso e ginepro), impilarla secondo precisi dettami, accenderla usando come esca il legno tratto da una quercia del bosco sacro. I fuochi erano due, uno di fronte all’altro, per farvi passare in mezzo il bestiame al fine di purificarlo dalle malattie.

Durante quel giorno venivano effettuati diversi riti propiziatori. Si benedivano le case ricorrendo in particolare al sorbo, che aveva il potere di scacciare le forze negative: i suoi rami, legati con nastri rossi, venivano appesi a porte e finestre come talismani protettivi, ma anche per attirare la ricchezza, la salute e la felicità. Era la giornata in cui si traevano gli auspici, si praticavano incantesimi difensivi e di fertilità sui campi e sugli animali gravidi. Le donne praticavano la loro magia ricorrendo all’acqua e al fuoco oppure uscivano sul presto per raccogliere le erbe curative, bagnate di quella rugiada portentosa in grado di amplificarne le proprietà terapeutiche. 

Il popolo si riuniva per celebrare con balli e canti la bella stagione. La danza prevedeva due strutture particolari costruite appositamente: il “palo di maggio”, ancora oggi usato in certe feste di paese, e il “cespuglio di maggio”, costruito con rami di biancospino o di agrifoglio, decorato con nastri colorati e gusci d’uova.

Beltane era la festa dei liberi accoppiamenti, durante i quali ogni uomo e ogni donna incarnavano il dio e la dea. Si trattava di orge rituali che avevano un preciso significato magico-sacrale. Come spiegava nei suoi saggi lo storico delle religioni Mircea Eliade, questo genere di pratiche celava diversi intenti: innanzitutto si trattava di riti propiziatori della fertilità i cui benefici si ripercuotevano sulle messi, sul bestiame e persino sui membri della tribù, giacché la fertilità della terra si trasmetteva alle donne e viceversa. Era un equo scambio di energie, che in tal modo ne uscivano rinvigorite. L’atto sessuale tra uomo e donna, poi, riproponeva la ierogamia cosmica, ossia lo sposalizio tra il dio (il cielo) e la dea (la terra), che all’inizio dei tempi avevano dato origine alla creazione del cosmo. Era come riavvolgere il tempo per riportarlo agli esordi e quindi rinnovarlo, conferendogli novelle forze. 

Pare che durante le festività di Beltane venissero effettuati dei sacrifici umani, ma se alcuni studiosi danno per assodato ciò che riferiscono gli storici latini, altri invitano a una maggiore cautela per timore che le fonti siano state volutamente inquinate, al fine di diffamare questo popolo e giustificarne l’annientamento. Anche in questo caso, il sacrificio umano, per quanto aberrante possa apparire ai nostri occhi, all’epoca aveva una ben precisa spiegazione. In molti miti delle origini, il mondo nasce a seguito del sacrificio del dio assassinato o defunto, che cede la propria forza vitale per dare origine al creato. Secondo Eliade i sacrifici umani servivano proprio a riprodurre questo evento e cedere le energie delle vittime alla terra, ai raccolti, al bestiame. Ancora adesso in molte feste di paese è tradizione bruciare “la vecchia”, solitamente un pupazzo di paglia. Nella mia zona lo si fa il giorno dell’epifania e la “vecchia” in questo caso simboleggia il periodo più rigido dell’inverno che finalmente se ne va.

Anche per oggi mi congedo e vi ringrazio per l’attenzione. Vi aspetto ad agosto con la festa di Lughnasad e il prossimo mese con un altro interessante argomento.

Elisabetta Ferri