Tra acquarelli e parole – Dodicesimo incontro

Acquarello di Angelo Gorlini

Poesia di Teresa Mariniello

Vita

Vita,
che corri nelle strade
e chiami a gran voce
colori e genti.
E indichi poi
l’altra via
odorosa
di ciclamini e glicini.

E tu, sconosciuto ignaro,
che ora mi affianchi
e riempi di riflessi la mia acqua fonda,
così io la tua.
E tu, ora compagno d’anima,
poggi la bicicletta sul ciglio
e io la domanda
tanto a lungo inattesa.

E noi, in un angolo di cuore
bambino e temerario,
ci allacciamo.
Nel silenzio alto delle nuvole
a farci vuoto della mente.

Favola di Tiziana Spanu

La principessa contemporanea

C’era una volta una non principessa… sì, questa è la storia di un’anti-principessa! Iris, questo era il suo nome, fin dalla nascita era stata una bambina ribelle e anticonformista. I suoi genitori avevano provato in tutti i modi ad impartirle un’educazione confacente alle signorine di buona famiglia: danza, pianoforte, galateo. Iris era bravissima ed anche un’eccellente studentessa, apprendeva tutto subito, ma finiva inevitabilmente per fare a modo suo, per puro spirito di contraddizione. Insomma era la disperazione della famiglia, in particolare della mamma, che avrebbe voluto una figlia da collocare in società, ma invano. La ragazza diventò adulta, carina e indipendente, ma con un animo romantico e sognatore, convinta che prima o poi avrebbe incontrato il principe azzurro della sua vita. Amava andare a fare delle passeggiate in un borgo sul mare: il panorama era fantastico e dalle antiche mura si ammirava all’orizzonte un promontorio gigantesco, che al tramonto si infuocava con riflessi e colori che lasciavano il cuore in gola per l’emozione. Iris adorava perdersi nelle viuzze storiche del borgo, osservare portoni e balconi dei palazzi , le vetrine delle botteghe, ascoltare le bande musicali che passavano suonando dolci e struggenti melodie: si sentiva trasportata in una dimensione di sogno , dove come per incanto svanivano preoccupazioni e tristezze. La sua via preferita era il Vicolo dei Bastioni: all’imbrunire i lampioni riscaldavano le facciate delle abitazioni e il pavimento lastricato; finestre e portoni emanavano un’aria accogliente, attendendo uomini e donne che, a piedi o in bicicletta, tornavano alle loro dimore. Un sabato pomeriggio di fine febbraio Iris passeggiava lungo la via , quando improvvisamente , mentre parlava al telefonino, quest’ultimo le scivolò di mano , cadendo per terra. Pensando che l’oggetto si fosse frantumato , si inchinò per raccoglierlo, ma improvvisamente sentì una mano toccarle la spalla : sollevò la testa e si trovò di fronte il ragazzo più bello che avesse mai visto! “Tutto bene?”, disse mentre le restituiva il cellulare miracolosamente integro! Iris non riusciva a rispondere, era imbarazzata e pensava di avere di fronte il principe azzurro dei suoi sogni: bellissimo, alto e con delle mani lunghe, affusolate e delicatissime. Si presentò, si chiamava Diego e abitava nel borgo. Iniziarono a parlare e passeggiare e al momento di andare via lui la accompagnò, chiedendole di rivederla. Da quel giorno uscirono spesso insieme e ogni volta le emozioni e i sentimenti di Iris diventavano più forti e Diego si mostrava nei suoi confronti premuroso e protettivo. Gli incontri erano ormai una dolce abitudine, Diego invitava spesso Iris a casa sua; parlavano e ridevano per ore intere, ma poi il ragazzo spariva per giorni e addirittura settimane, facendosi risentire all’improvviso. Desiderava Iris, ma sembrava quasi averne paura e lei iniziò a rendersene conto. Una sera di Novembre Diego all’improvviso rimandò l’ennesimo appuntamento . Iris delusa decise di andare lo stesso a passeggiare nel borgo: all’imbrunire, mentre osservava tutta il calore dei colori del suo vicolo preferito, lo vide : Diego stava lì con i suoi amici, rideva e camminava . Iris non si avvicinò, lo guardò mentre le passava vicino e notava la sua presenza: lui rimase senza parole , ma lei aveva capito che non c’era bisogno di parlare. Voltò le spalle, mentre lui la guardava allontanarsi. Iris provava delusione ma anche una grande consapevolezza: non aveva bisogno di un principe azzurro, né di un uomo che avesse paura di lei. Con la brezza marina che le carezzava il viso e accompagnata dalla melodia della banda musicale riprese il suo cammino…

Racconto di Francesca Petrucci

…Di quando mio padre…

Era una strada di gialli lampioni. Sonnecchiavano lontane le stelle. L’utilitaria di Anna andava spedita, fra quelle stradine lucide e deserte. Ci fermammo davanti a un cancello di ferro battuto, basso e largo. Si aprì da solo. L’auto vi entrò e si fermò quasi subito. Si accese una luce. Sulla destra e sulla sinistra comparvero dei fiori. Tanti. Ibiscus colorati e altezzosi sui loro gambi. I suoi preferiti. Anna aprì la porta ed entrammo. Un piccolo soggiorno ci accolse, come in un abbraccio. Più avanti, una piccola cucina. Sulla destra, una scala. Poggiati i bagagli, Anna mi mostrò il resto del pianoterra. Oltre la cucina, uno studio-camera arredato con pezzi provenienti da paesi diversi. Veramente originale. Con bagno annesso. Aprì i vetri della finestra e poi le persiane. Comparve un cielo buio, zeppo di stelle. “Con la luna, vedresti anche il mare, luccicare laggiù”. Disse. Non so perché la guardai. Colsi un’ombra nel suo sguardo. Anna viveva sola. Lui era andato via dopo anni di passione invulnerabile. Lasciandola in quel bozzolo di dolore dal quale non sarebbe più uscita. Non ne parlava mai. Ed io, discretamente, non facevo domande.” Vieni a stare un po’ da me?”- mi disse un giorno- lo sai, non amo la solitudine”…”Sbrighiamoci. Ci aspetta un… frittino di giornata dall’amico Cecco. Vai pure su. La tua camera è quella sulla sinistra”. Poggiato il bagaglio sulla soglia, ancora nel buio, fui attratta dal chiarore proveniente dalle fessure delle persiane. I vetri erano aperti. Aprii le imposte e… la stanza si riempì di una luce calda, dorata, così intensa e fluida ad un tempo. Io stessa ne fui invasa. Un’emozione mi colse. Dorata mi sentivo. Mi sporsi dal davanzale. Tutto era dorato, le case, gli abiti dei passanti, i tavolini e le sedie del ristorantino di Cecco sulla destra. Perfino i pensieri. Perfino i ricordi. No, quelli no. Almeno, non tutti si doravano. La bambina che è in me si svegliò ed emerse prepotente. Dal fondo giungeva un frastuono indistinto. Man mano più nitido, si trasformò in note conosciute. Fui presa da maggiore stupore che mi inchiodò ulteriormente al davanzale. Tornai bambina, al mio paesello sulla collina e mi ricordai di quando il mio papà… lo vedevo salire per il Corso, tra i suoi compagni musicisti, e riempivano di bellezza tutto intorno. Il mio papà era il più bello, il più alto. Vedevo i suoi occhi azzurri anche al buio. La sua cornetta verso il cielo. Io, correvo da una strada all’altra per vederlo passare. Un nodo alla gola mi impedì di respirare. Lacrime silenziose mi camminavano fino a terra. E lo vedevo mio padre, lì, in quell’oro, nella fila di testa.”Ei, tolte le croste?” Il fritto di Cecco si fredda” La voce di Anna mi svegliò dal sogno. Avevo però capito: quella casa sarebbe stata sempre mia, nel cuore. Richiusi la finestra. Scendemmo in strada invase di musica. E io, di ricordi. Di quando mio padre…