Poesia di Claudio Lepri
Come quel giorno Mille occhi ti ruotano intorno curando ogni cosa. Il tuo gesto mi è di fronte come quel giorno. Anche allora eri vestita di bianco nel cortile così nuovo per noi. Il tuo fiocco sorrideva pomposo ai volti che chiamavano i vostri nomi e intanto l'ansia tormentava con le tue dita i capelli pettinati da mamma. Sei cresciuta. Hai fatto molta strada. Come quel giorno terrò stretta la tua mano. Fiaba di Grazia Fresu I capelli di Rossana Angela, una matura pittrice, l’aveva trovata tra gli arbusti sulla riva del fiume. Si era ritirata da anni in quel piccolo villaggio tra i monti, bei paesaggi, gente tranquilla e rispettosa della natura. Tutta la sua vita turbolenta era restata indietro. Ora cercava la pace. Mentre aggiungeva una pennellata di azzurro al suo quadro aveva sentito il gemito. Si era avvicinata alla riva e lì stava lei, avvolta in panni, adagiata sulla terra. Se l’era portata a casa, aveva detto a tutti che era una sua nipote lasciatale in custodia da sua madre. Il villaggio, dal primo momento, l’aveva adottata. La chiamavano tutti Rossana perché aveva una sorprendente testa di capelli rossi che nessuno lì aveva mai visto. Era graziosa e allegra, entrava nelle case di tutti senza permesso e tutti la ricevevano con un sorriso. Nessuno avrebbe mai immaginato che non era una bambina perduta o abbandonata, ma un regalo che il villaggio si era meritato. Correva per i vicoli del paese, giocava con gli altri bambini, raccoglieva gli animali feriti e, senza che nessuno sapesse come, li curava. Angela ogni anno le faceva un ritratto. Poi nel salone della scuola li esponeva e ogni famiglia ne voleva uno. Cominciò a circolare la voce che le case, dove quei ritratti stavano appesi, diventavano luoghi felici, scomparivano i problemi, guarivano le malattie, entrava la prosperità. Quando Rossana compì diciotto anni, Angela la ritrasse ad acquarello mentre lei giocava con i suoi capelli, poi appese il ritratto nel salotto e lo contemplava a lungo. Le sue povere mani già faticavano molto a dipingere e le piaceva pensare che con lo stesso amore con cui aveva raccolto la bambina anni prima, ora, nonostante le sue dita indurite, ne aveva potuto fissare la bellezza e la gioventù. Sapeva di essere vecchia e provava una certa tristezza all’idea di lasciare presto Rossana da sola. La ragazza sentì il suo pensiero “Non preoccuparti per me, mamma. Io sono venuta per te e per il villaggio. Sono il vostro dono”. Angela non comprese, fino al giorno che la montagna cominciò a tremare. La gente impaurita usciva dalle case riversandosi sulla piazza. Il cielo era cupo e massi interi si staccavano dal monte che li sovrastava e rotolavano verso la valle. Solo Rossana pareva tranquilla. Si sedette sul bordo della fontana attorno alla quale tutti si erano riuniti, disse “Non abbiate paura” e poi i suoi capelli cominciarono a crescere, si estendevano allontanandosi dalla sua testa e dal villaggio come una rete che luccicava. Man mano si arrampicavano sulle pareti della montagna e la imbrigliavano. In pochi minuti la montagna era coperta dalla sua capigliatura, la terra smise di tremare e il cielo si schiarì. “Prendi una forbice, mamma, e tagliami I capelli all’altezza delle spalle”, disse ad Angela. Lo stupore aveva gettato tutto il villaggio nel più assoluto silenzio. La montagna fino ad allora brulla era ricoperta di fiori rossi e aveva smesso di tremare. “Chi sei?” le chiesero. “Sono vostra figlia, figlia della vostra bontà. Sono il dono per voi della Madre Terra”. Racconto di Anna Nihil Orecchini e anelli, che un tempo erano la sua passione, ora restano chiusi in un bauletto, a casa. Inutile portarli quando non si possono esibire. Il bauletto è in bella vista sul comodino, non teme che eventuali ladri possano interessarsi a monili di filo di ferro e pietre colorate, ricordi di viaggi e vacanze estive. I soliti bijoux che non valgono niente, ma hanno un grande valore affettivo. Ognuno di loro la aiuta a riattivare dei ricordi piacevoli, di luoghi e persone lontane, di una vita vissuta con allegria. Ha appena finito di indossare la sua divisa azzurra. Di tutte le divise al mondo è la più comoda e la meno elegante, lei lo chiama “il mio pigiamone”. Sarà semplice, ma dà grandi responsabilità. Intreccia i capelli con cura, sarà più facile nasconderli sotto la cuffia. Ha una bella collezione di cuffie dalle fantasie più buffe e vivaci che sia riuscita a trovare. Il suo obiettivo: essere un raggio di sole nella stanza. È fermamente convinta nel potere terapeutico del buonumore, e se i coniglietti rosa stampati sulla cuffia di oggi le daranno una mano, ne sarà ben contenta. Disinfetta le mani ancora una volta. Ha già perso il conto di quante volte ha igienizzato le mani dal suo risveglio all'arrivo in ospedale. Sulla divisa, infila il camice monouso con i polsini elastici che premono sulla pelle. Per far aderire perfettamente il camice deve allacciare con destrezza i lacci dietro il collo e intorno alla vita. Il suo corpo sembra non esistere più. Perde ogni grazia per diventare un corpo che agisce, senza differenze, lontano da ogni stupida superficialità. Mentre indossa i guanti, si porta davanti a un piccolo specchio che le incornicia solo il viso. Quei suoi tratti gentili devono essere coperti con una mascherina. Infine, il dispositivo che sopporta meno, gli occhiali di protezione. Ogni volta che si guarda allo specchio, dopo aver completato la vestizione, le viene da ridere. Una maschera così, avrebbe voluto usarla solo sott'acqua in un mare cristallino, di quelli che si vedono nei film o nei documentari, con i pesci di ogni colore, i coralli rossi e le alghe di un verde brillante. “Andiamo a nuotare per i reparti! In fondo, hanno dipinto le pareti di azzurro... uguale al mar dei Caraibi!”. È un bel talento saper trarre forza dall’ironia.