La solitudine di Viviana

Viviana, ancora in lingerie, se ne stava in piedi di fronte all’anta specchiata dell’armadio. Si fissava insistentemente l’addome, arabescato dalle incisioni del bisturi e tempestato di punti di sutura. Il cromatismo della pelle cangiava dal giallo smorto all’arancione fosforescente, tutto merito del disinfettante impiegato dal chirurgo.

La giovane sospirò e restò immobile ancora per lunghi istanti, inebetita. L’asportazione dell’utero, per una donna, può essere un vero dramma. Lei, però, non era ancora approdata alla spiaggia della disperazione e stava facendo di tutto per evitarla, anche se a volte la rotta dell’umore giungeva a sfiorarla pericolosamente. Stava meglio ed era già un’enorme conquista. Dopo anni di dolori lancinanti, di svenimenti e di corse al pronto soccorso a ogni ciclo mestruale, stare bene era un netto cambiamento positivo. Viviana aveva infatti scoperto d’essere affetta da endometriosi sei mesi prima dell’intervento, quando un bravo ginecologo aveva notato, grazie a una semplice ecografia, la presenza di adenomiosi e di una costellazione di piccoli fibromi uterini. Endometriosi: era stato terribile udire il nome di quella patologia per la prima volta in vita sua. L’endometriosi è la formazione anomala del tessuto più interno dell’utero anche al di fuori di esso. È una ragnatela che si attacca a ogni organo e crea aderenze, disfunzioni, dolore. Il calvario di Viviana era cominciato almeno sette anni prima. I dolori mestruali erano diventati più acuti e le emorragie più pesanti del consueto, per culminare poi in fitte persistenti, simili a coltellate. Tale dramma s’era consumato per mesi interi ed era sfociato in quella carneficina, i cui segni erano incisi nella viva carne. Per fortuna l’endometriosi non aveva raggiunto uno stadio troppo avanzato, ma aveva comunque creato aderenze nella zona anale e su una piccola zona dell’intestino. Viviana, durante l’acme della malattia, s’era ritrovata senza una vita sociale, senza un lavoro e circondata da persone, medici compresi, completamente incapaci di capire il suo inferno. “Per un po’ di dolore non è necessario fare tutte quelle sceneggiate”: s’era sentita ripetere quella frase tante di quelle volte da averne ancora la nausea. Il suo ex e la suocera erano addirittura convinti che le sue fossero scuse per evitare una gravidanza. Se Viviana era giunta a rifiutare i rapporti sessuali era perché erano diventati strazianti perché l’utero, a causa delle aderenze, era divenuto ipomobile. Nessuno credeva mai alle parole di Viviana. L’endometriosi era stata per lei innanzitutto solitudine. Stava male e non riceveva un minimo d’empatia. Poco dopo la diagnosi il suo convivente, incapace d’accettare una compagna sterile, l’aveva lasciata e la suocera aveva emesso una condanna inappellabile: “la donna si realizza con la maternità”. Viviana s’era sentita – e si sentiva ancora – rivolgere i più disparati, infelici commenti dalla gente e la frase più gettonata era proprio quella pronunciata dalla madre del suo ex. Come possono le persone permettersi di calpestare la sensibilità altrui con tanta noncuranza? Lei confessava candidamente di non poter avere figli e gli altri le dicevano, in poche parole, d’essere una donna inutile.

Iniziò a vestirsi, facendo attenzione: da quand’era stata operata, aveva infatti scoperto che l’addome viene coinvolto in tutti i movimenti che compiamo. Si diresse poi a piccoli passi verso il divano e si sedette con accortezza. Le sfuggì una smorfia per una fitta improvvisa e accese la televisione. Trascorse almeno dieci minuti a saltare da un canale all’altro. Sbuffò, spense quel dannato aggeggio e gettò il telecomando sul sofà.

Si guardò attorno, annoiata. Sul mobile della sala troneggiava la cornice con la foto dei figli di Marta. Viviana amava i nipoti, però non condivideva certi atteggiamenti della sorella. Innanzitutto approfittava sempre dei genitori, ormai pensionati. Aveva delle commissioni da fare? Per sbrigarsi alla svelta lasciava i bambini dai nonni, che avevano anche il compito di portarli a catechismo, a calcio, a danza, dal pediatra, dal dentista, a scuola… “Ai bambini di oggi è vietato fare i bambini”, pensava Viviana. Tanto i nipoti quanto i loro amichetti avevano sempre la giornata piena di impegni. Dovevano studiare e avere attività extrascolastiche in cui dovevano eccellere, non avevano quasi mai l’occasione di passare un intero pomeriggio a giocare con i coetanei o con i genitori, quando e se liberi da impegni lavorativi. Ognuno doveva avere qualcosa da fare fuori di casa. Risultato? Ogni membro della famiglia aveva un’esistenza a sé e, non appena erano tutti riuniti sotto allo stesso tetto, fioccavano i litigi. Non è così che si rinsaldano i rapporti. A che serve diventare madre se poi, quando finalmente potresti stare insieme ai tuoi figli, ti disperi perché non sai come gestirli? O non sai a chi lasciarli? E quel che era più drammatico, agli occhi di Viviana, era che sua sorella non era la sola a vivere la maternità in questo modo. Allora se i figli sono destinati col tempo a diventare un peso, a che serve diventare madri?

Sospirò. Forse era lei a vedere solamente il lato oscuro della maternità. E se vedeva tutto nero, era per un eccessivo senso critico o per un innato pessimismo? Viviana fissò la foto sul mobile. Il suo non era pessimismo. Era il disperato tentativo di convincersi che la maternità non fosse desiderabile. La sua, in realtà, era invidia. Invidiava le altre mamme, che però non sembravano apprezzare il proprio ruolo e la fortuna di non essere “difettose” come lei. Commenti come “la donna si realizza con la maternità”, “la maternità è la gioia più grande per una donna” e “i figli sono una benedizione”, quando rivolti a lei non erano affatto neutri, erano un’esplicita condanna della sua condizione. Sei sterile e dunque sei una donna del tutto inutile, perché le vere donne fanno figli. Viviana però non voleva sentirsi inutile. Non era giusto. Anche se sterile, restava pur sempre una donna che meritava di realizzarsi e di essere accettata per quella che era. Eppure, in quel momento, il suo ventre le sembrò più vuoto che mai. E non a causa della sua malattia, un accidente che le era capitato, quanto per le parole inopportune della gente.

Elisabetta Ferri