Perché “Il Calderone di Keriddwin”?

ono sempre stata affascinata da argomenti inconsueti e controversi eppure, vuoi per l’impegno profuso negli studi, vuoi per una buona dose di pigrizia, non sono mai riuscita ad approfondirli con serietà. Al traguardo dei miei primi quarant’anni, ho deciso di ricominciare a studiare, per tenere la mente attiva e trovare nuova ispirazione per i miei prossimi romanzi. E se anche voi siete in cerca di idee che possano rinfocolare la vostra creatività, allora siete i benvenuti a “Il calderone di Keriddwen”.

Ho deciso di chiamare così questo piccolo angolo, ritagliatomi tanto gentilmente dalla nostra Moka, per alcune ragioni. Innanzitutto perché da qualche tempo a questa parte sto cercando di raccogliere materiale sul popolo dei Celti, in parte per la disomogeneità di contenuti che andrò a presentarvi di volta in volta. Ma ce ne sono anche molte altre che vi esporrò qui di seguito.

Perché il riferimento alla cultura celtica? Noi scrittori lavoriamo con la parola e secondo questi popoli essa aveva delle forti connotazioni magico-sacrali, tanto che la scrittura era assolutamente vietata, almeno finché il paganesimo non venne scalzato dal Cristianesimo. I Celti temevano infatti che un concetto messo per iscritto divenisse immutabile, quando invece il mondo era connotato dal mutamento, proprio come riassumeva Eraclito nel suo “Panta Rei”. La storia, la cultura, le saghe mitiche e le leggende venivano tramandate in forma orale ed erano in particolar modo i bardi a custodire questo sapere prezioso. E sempre i bardi erano, a quanto pare, gli unici a poter impiegare un alfabeto detto “Ogham”, che veniva inciso su sottili listelle di legno ottenute da un albero sacro.

Perché il “calderone”? Dovete sapere che si trattava di un importante simbolo per i Celti, e non solo perché essi erano famosi per il pantagruelico appetito. Il paiolo incarnava la fecondità, la rigenerazione, la rinascita e la risurrezione (i guerrieri morti in battaglia che venivano bolliti al suo interno tornavano in vita): per queste ragioni, quando il Cristianesimo si diffuse e affermò, il calderone venne trasformato nel Santo Graal. Quello appartenente al dio Dagda, uno dei Tuatha Dé Danaan (una mitica stirpe divina che aveva dimorato in Irlanda e che fu sconfitta dai Gaeli, ossia i Celti), era simbolo di abbondanza perché sempre pieno di cibo. L’aldilà gallese, che si chiamava Annwn, era dotato a sua volta di un magico pentolone. Era tutto ricoperto di diamanti, veniva riscaldato dal fiato di nove vergini e le pietanze in esso cucinate permettevano alle anime di reincarnarsi (ma ciò valeva solo per i guerrieri valorosi, i vili non ricevevano alcuna ricompensa). Noi scrittori siamo coloro che comunicano al cuore delle persone, abbiamo anche noi un potere “rigenerativo” sull’animo dei lettori e la nostra “abbondanza” creativa, si spera, sia sempre inesauribile: sotto questi punti di vista, siamo un po’ dei “calderoni”.

Perché scegliere proprio quella determinata divinità? Keriddwen (o Kerridwen o Caridwen o Keridwen) possedeva un paiolo magico, chiamato Awen, ed era una dea preposta alla protezione delle forze della natura, delle foreste e delle montagne. Era anche la protettrice dei bardi, in quanto la sua “specialità” era il “greal”, un alimento che conferiva immortalità, saggezza, conoscenza, poteri magici e ispirazione poetica (di cui anche noi abbiamo sempre bisogno per creare). Thomas Love Peacock (1785-1866) nel 1829 compose una lunga poesia ispirata a una leggenda gallese e intitolata appunto “The cauldron of Ceridwen”. La storia narra che Ceridwen era la moglie di Tegid Voël, dal quale ebbe due splendidi figli: un maschio di nome Morvran, e una femmina, Creirwy. Ne nacque un terzo, Avagddu, che per sua sfortuna venne al mondo dotato di un aspetto orribile. Per ovviare al problema, Ceridwen decise di renderlo almeno l’uomo più saggio esistente. Dopo aver studiato le arti magiche, si procurò delle piante dalle rare virtù, le mise in infusione nel paiolo e le lasciò bollire un anno e un giorno, al fine di ottenere poche gocce della miracolosa pozione. Peccato che non suo figlio, ma un certo Gwion riuscì a bere il filtro della sapienza e se la diede a gambe levate…

Vi lascio ora il mio intento e il mio augurio: in questa rubrichetta allestirò, come Keriddwen, delle piccole perle di conoscenza. Voi siate astuti come Gwion: prendetele e fatele vostre! Quando poi avrete ancora voglia di un pizzico di magia e di protezione dalla dea Keriddwen, allora vi aspetto qui, in questo piccolo angoletto. Alla prossima! 😉

Elisabetta Ferri