ello scorso articolo vi ho accennato alle apparizioni spettrali citate in alcune opere letterarie. Questa volta invece vi racconterò di alcuni episodi narrati da storiografi e sapienti. Il più famoso credo sia quello narrato da Plutarco.
A Bruto, dopo l’assassinio ai danni del padre adottivo, Caio Giulio Cesare, apparve un demone che gli rivolse la celeberrima frase: “Ci rivedremo a Filippi!”. E così sarebbe avvenuto: Bruto, a Filippi, rivide lo spirito ed ebbe la certezza di essere spacciato.
Svetonio invece, nel libro secondo della sua opera Vite dei Cesari, ci narra di Ottaviano Augusto e, come sua consuetudine, esordisce raccontandoci le sue origini. Gli avi di Augusto possedevano un piccolo poderetto nelle campagne di Velletri, dove pare che da bambino l’Imperatore fosse stato allevato. Alcuni abitanti della zona sostenevano addirittura che egli fosse nato proprio lì. Nei tempi in cui l’autore scriveva, quella casetta esisteva ancora e aveva cambiato diversi proprietari a causa della cattiva fama di cui godeva. Nessuno osava infatti porvi piede senza avere una più che valida ragione, perché un raggelante senso di disagio coglieva chi ne varcava solo la soglia. Uno degli ultimi possidenti, che non credeva affatto a tali dicerie, volle provare a dormire una notte intera all’interno dello spettrale edificio. Vi fece collocare un letto e, una volta calato il buio, andò a coricarsi. A un certo punto, mentre dormiva, una forza invisibile afferrò tanto lo sciagurato quanto il suo letto e li scaraventò fuori. Al mattino schiavi e familiari ritrovarono entrambi sulla porta. Il poveretto era persino mezzo svenuto per lo spavento.
E veniamo a Plinio il Giovane. In Lettere ai familiari 7,27, indirizzata al caro Sura, sostiene di credere fermamente nell’esistenza dei fantasmi e racconta ben tre episodi, di cui il primo citato anche da Tacito negli Annali. Eccolo qui di seguito.
Curzio Rufo, homo novus di grandi capacità, era da poco al servizio del Governatore d’Africa, quando una sera, mentre passeggiava sotto i porticati, si imbatté in uno spettro. Si trattava di una donna di statura più alta del normale, che gli disse di essere lo Spirito dell’Africa e gli predisse il futuro. Ogni suo detto, nel corso del tempo, si sarebbe effettivamente avverato.
Non riporto il terzo episodio, ma solo il secondo, particolarmente dettagliato e forse il più noto. Si tratta di un avvenimento verificatosi ad Atene. C’era questa casa, ampia e spaziosa, ma disabitata. Al suo esterno, un cartello indicava che era possibile acquistarla o affittarla a prezzo irrisorio. Attirato da quella cifra troppo esigua, il filosofo Atenodoro chiese informazioni e scoprì che era infestata. Si diceva che nel bel mezzo della notte, rumori di sferraglie e tintinnii di catene preannunciassero l’apparizione di un vecchio emaciato, con la barba lunga e i capelli irti. Aveva ceppi ai piedi e catene ai polsi. I precedenti possidenti, atterriti da quei fenomeni, erano tutti scappati letteralmente a gambe levate perché non riuscivano più a chiudere occhio, vivevano nell’angoscia anche di giorno e finivano con l’ammalarsi. Alcuni erano persino morti. Atenodoro, incuriosito, volle prendere in affitto la magione e vi si trasferì con i suoi familiari. La notte li mandò tutti a dormire nelle stanze più interne, mentre per sé fece allestire un letto vicino all’ingresso. Per mantenersi vigile, Atenodoro si procurò uno stilo, una tavoletta e un lume. Iniziò a scrivere, stando ben attento a non appisolarsi o cadere in preda alle allucinazioni dovute alla suggestione. Ed ecco! Tintinnii e cigolii si levarono in lontananza, ma il sapiente, continuò a dedicarsi alla propria attività. I rumori si fecero più forti e il fantasma entrò nella stanza. Questo fece cenno ad Atenedoro di seguirlo, ma il filosofo, preso dal lavoro, fece segno con la mano allo spirito di aspettare un attimo. Guai a perdere il filo dei pensieri mentre si scrive! Il fantasma, spazientito, andò a scrollare le catene sopra la testa del vivente, che dovette cedere di fronte a tanta insistenza. Preso il lume, Atenodoro seguì lo spettro, che lo condusse in cortile e, raggiunto una determinata zona, svanì all’improvviso. Il filosofo prese alcune foglie ed erbe per segnare quel punto esatto. L’indomani si recò dalle autorità e sottopose il suo caso. Condotti degli scavi nel punto indicato dal fantasma, vennero rinvenute delle ossa umane e delle catene. Queste vennero tumulate con i dovuti onori, a spese dello stato, e la spettrale presenza trovò finalmente la pace.
E chissà quanti altri gustosi racconti sono andati perduti o si possono scoprire leggendo i testi greci e latini!
Per oggi mi fermo qui, non voglio abusare oltre della vostra pazienza. Mi congedo e vi do appuntamento al prossimo episodio della mia rubrica.
Elisabetta Ferri