Tra acquarelli e parole – Secondo incontro

Acquarello di Massimo Ciavarella


Poesia di Maria Mancino

Acqua di vulcano

Acqua di vulcano
rimescoli i pensieri
nei mari che non vidi
nei mari che possiedo

Acqua in equilibrio
onda che ribalta
la quiete del mio mare
lo spirito in tempesta

Sovrasta il mio dolore
il vigore della spuma
riemerge dal profondo
l’anima mia chiara

Racconto di Elisabetta Ferri

Cavalcare la tempesta

Aveva cercato di fuggirlo in ogni modo, ma alla fine il destino l’aveva raggiunta e avvinta. Dopotutto, come avrebbe potuto riuscirci se le era stato cucito addosso ancor prima della nascita? Kairesh si trovava sull’Isola del Tuono. Laggiù aveva affrontato una dura prova, insieme ad altre due donne. Tutte e tre avevano custodito dentro di sé uno dei frammenti in cui l’anima della dea Fenice, in tempi remoti, era stata scissa. Alla fine, Kiìras e Dahìma erano morte, mentre Kairesh era stata designata come l’Erede, l’unica cioè degna d’ospitare lo Spirito riunito della Signora del mondo. Così era divenuta immortale. O almeno lo sarebbe stata finché il suo corpo e la sua anima non fossero stati sublimati in materia divina: allora sarebbe rimasta solo la rediviva Fenice e lei sarebbe stata cancellata per sempre. Chissà quanto a lungo sarebbe durato quello stillicidio. Di certo millenni, il che per una semplice Elfa significava l’eternità. Non solo dentro al suo petto, ma anche tutt’intorno a Kairesh imperversava la tempesta: il vento soffiava impetuoso, il mare e il cielo erano un tumulto di onde e nubi. La Rocca di Fuoco eruttava la liquida lava, che colava lungo i fianchi scoscesi, incendiava i boschi e si tuffava nell’oceano. Grandi colonne di vapore s’innalzavano laddove acqua e fuoco s’incontravano. Kairesh posò lo sguardo sulla sagoma del Continente di Lanzanniih, la sua casa, che si stagliava lungo la linea dell’orizzonte. Decise di recarvisi a piedi. Era la Fenice, non poteva più opporsi, doveva cavalcare la tempesta. E così avrebbe fatto. Letteralmente. Raggiunse il bordo del baratro. Fissò per lunghi istanti le rotolanti onde schiantarsi rabbiose contro le ripide pareti rocciose. Immobile, attese il cavallone migliore. Lo vide e l’afferrò lesta, protendendo la mano. Chiuse il pugno, imbrigliò il mare con un incantesimo, lo addomesticò e lo sottomise. Kairesh attirò il braccio al petto. Le acque si gonfiarono verso l’alto e assunsero l’aspetto d’una collina, la cui altezza pareggiava quella della scogliera. Una sottile passerella si prolungò dalla cresta fino ai piedi dell’Elfa, che poté così salire sul dorso di quell’inconsueta cavalcatura. L’Erede prese posizione e ordinò: “Portami a casa”. Divaricò le gambe, ammorbidì le ginocchia e allargò le braccia per restare in equilibrio. Portò in avanti il pugno che teneva ben saldo il sortilegio e i flutti si mossero obbedienti. La collina si trasformò in una lunga, alta muraglia che avanzava rapida. Le particelle d’acqua correvano veloci sotto i piedi di Kairesh, le ciocche dei capelli sferzavano il suo viso e il vento premeva il mantello contro il suo corpo. L’Elfa gridò entusiasta, elettrizzata dall’adrenalina. Cavalcare la tempesta non era così male, dopotutto. La spiaggia s’avvicinò ben presto e il grande teahupoo* cominciò a collassare nella tipica forma a tubo. Kairesh, con un movimento delle braccia, intimò al mare d’abbassarsi più dolcemente e così esso fece: il frangente, anziché ricadere nel cavo dell’onda, si allungò in avanti a mo’ di scivolo, s’appiattì e si propagò spumeggiando sull’intera spiaggia. L’Elfa aprì il palmo e rilasciò le invisibili briglie. L’oceano, dopo aver posato la padrona sulla sabbia, si ritirò. Kairesh si volse, il cuore che ancora batteva forte. Gridò il suo ringraziamento al mare, poi si strinse nel mantello, imboccò la via di casa e s’allontanò.

*leggere “tchoopoo”. È la così detta “onda perfetta” dei surfisti.

Fiaba di Erica Borghesi

La bambola dai capelli di Luna

Quando al largo della Sardegna naufragò la Costa Concordia nel fuggi fuggi generale una bambina dovette abbandonare in cabina la sua amatissima Dolly, una bambola dai capelli color raggio di Luna che dormiva sempre con lei. DOLLY sarebbe rimasta anni intrappolata tra letto e parete, non fosse per una mareggiata più violenta del solito che dapprima riempì d’acqua quello che ancora era rimasto asciutto e poi risucchiò in mare, attraverso l’enorme falla creata dallo scoglio traditore, bambola, vestiti, e le innumerevoli altre cose frivole che la gente si porta in crociera. Ora, è opinione comune di ogni adulto che una bambola non possa provare sentimenti, per cui neppure sgomento, ma ogni bimbo sa, riesce a comprendere, ciò che può aver provato Dolly in quei terribili momenti, sola, abbandonata in mezzo a quel mare in subbuglio e a tutti i pericoli possibili e immaginabili. Cose che a sentirle raccontare ci si perderebbe il sonno… E difatti anche solo a pensarle la bambina ogni notte nel suo lettino inorridiva e piangeva sconsolata (ah… Dolly Dolly come ho potuto abbandonarti). Dolly nel frattempo galleggiava al largo, i capelli come scie lunari e gli occhi volti al cielo a riflettere le stelle… Accadde che una notte di plenilunio una balena bianca incrociasse la sua rotta e tanto rimanesse incantata dai suoi capelli fluttuanti da mettersi a cantare come solo le balene sanno fare: con un gran smuovere d’acqua e sibili che si propagarono per tutto il Mediterraneo richiamando frotte di delfini e capodogli curiosi di tanto gioioso clamore. Vedendo la bambola un delfino si ricordò di aver notato poco prima una manina scura penzolare da una barchetta e pensò che fosse della misura giusta per coccolare l’esserino galleggiante, così con un colpo di coda rapì Dolly lasciando di sasso la balena che per la rabbia emise uno spruzzo di acqua salata tanto grande da sconvolgere il maremondo e oscurare Luna e stelle. Ma il delfino sapeva dove trovare quella manina anche al buio e così fu. Tanti anni dopo la bambina ormai cresciuta stava passeggiando su una spiaggia siciliana. Non aveva mai smesso di pensare alla sua bambola perduta, ma col tempo il senso di colpa si era attenuato, e ormai si era convinta che non fosse stata tutta colpa sua (dentro il cuore incolpava i genitori che le avevano impedito di ritornare a prenderla quando nella scialuppa si era resa conto di non averla con sé).Quella sera la Luna si specchiava nel mare creando una scia luminosissima che pareva una chioma fluttuante, così simile a quella che pettinava in un tempo lontano… Che strano… le sembrava quasi di vedere due stelle ammiccare là in fondo… Dolly, dondolando tra i raggi di Luna la vide e la riconobbe, ma non la poteva chiamare, era solo una bambolina senza voce, ma se avesse potuto le avrebbe detto “ti ho voluto bene, e tu a me, non è stata colpa di nessuno, è stato il destino… Ma così sono servita a far felice un bimbo e tanti altri ne attendo. Io ora veglio su quelli che si sono addormentati per sempre, e quando la marea mi porta a riva il mio amico delfino mi riporta in alto mare perché i miei capelli di Luna siano l’ultima cosa che loro possano accarezzare.”