Tra acquarelli e parole – Quindicesimo incontro

Acquarello di Andrea Mori e Valentina Bracchetti
Poesia di Claudio Ardigò


Acquarello

Le braccia della terra 
galleggiano nel vento
potenti
rassegnate 
nel dover vivere
sforzo infinito
della terra 
il cielo in ascolto
nel sogno nascosto
della mia esistenza
l’abbraccio 
delle sue radici.

Fiaba di Simone Santi

Come è il suo principio, così è il suo fine

‹‹Come è il suo principio, così è il suo fine›› Così canta Bes, che completa la raffigurazione dell’albero sulla pelle del tamburo. Dal paiolo rovescia rorida linfa nella cassa dello strumento, foggiato dalle sue mani esperte e dalla sapienza antica dell’ unus mundus. ‹‹Accetta l’offerta, e discendi su me con la tua potente voce!››. ‹‹Io sono l’albero che canta›› risponde il tamburo, vibrando la membrana, ‹‹Sono signore del tamburo che costruisti col legno del mio ramo, colpito dalla folgore››. Bes agita le mani, raccoglie la voce di quello spirito, e la sigilla con un soffio nel tamburo. In piedi tra i tre mondi, inizia a suonare e sul ritmo ternario appoggia il proprio passo: il primo colpo profonda le radici nelle viscere della terra; il secondo colpo irrobustisce il tronco ruvido di resine e cortecce; il terzo colpo slancia verso l’infinito i rami, che ariosi si svolgono come ali nel cielo. La danza estatica ruota intorno all’immagine dell’albero sacro che appare dal pulviscolo come un vibrante miraggio. Il ritmo dal tamburo si avvolge in una spirale e si avvince all’albero, tracciandovi sul tronco il disegno di un’ellisse a sette spire. Senza mai fermarsi, ruotando su se stesso e intorno all’albero, Bes inizia ad ascendere i gradi dell’ellisse sonora. Per ciascuna delle sette spire egli cerca il ritmo esatto, e ciascuna spira apre la porta ad uno dei sette cieli planetari: la prima spira è di piombo, e introduce al cielo di Saturno; la seconda spira è di Stagno, e introduce al cielo di Venere; la terza è di bronzo, e introduce al cielo di Giove…e via così, salendo di cielo in cielo, lo sciamano danzante giunge fino alla cime dell’albero sacro, dove si trova la Casa dei canti. Ora Bes si ferma. Silente, siede sull’alta cima di un ramo che non potrebbe sorreggerne il peso, e ascolta. Attraverso il fusto slanciato, la linfa sonora, inchiostro della terra, risale fino alle spoglie frondose, che il desiderio fa germogliare di penne. Come le dita dei rami toccano il fondo armonico dell’universo, trasmettendo la vibrazione delle linfe, la cerimonia delle nozze sacre tra Terra e Cielo raggiunge l’acme. Il tuono, voce degli dei, annuncia i suoi doni. Le sfere celesti emettono il loro concento. Una tempesta di astri, e stille luminose piovono sulla terra a fecondarla e rinnovare la vita. ‹‹Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una.›› insegnano gli Spiriti celesti a Bes, affinché ne riporti la conoscenza agli uomini, ‹‹Sale dalla Terra al cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori››. Detto ciò, gli Spiriti lo congedano. Bes inizia la discesa, di cielo in cielo lungo le spire dell’albero sacro: la settima spira è d’oro, e introduce al cielo del sole; la sesta è d’argento, e introduce al cielo della luna, la quinta è di ferro, e introduce al cielo di Marte… e sempre danzando, al ritmo del tamburo, lo sciamano canta. ‹‹Come è il suo principio, così è il suo fine.››. E sotto di lui, un cielo di stelle.

Racconto di Tiziana Mazza

L’albero che tocca il cielo

«Ahi!» La mano di Robertino era scattata veloce a colpire l’insetto che lo aveva risvegliato proprio mentre si apprestava ad addentare una succulenta fetta di torta ricoperta di panna. Aprì gli occhi, era solo, i genitori non erano più lì. In lontananza sentiva il vociare dei fratelli e dei loro amici che si divertivano a tirare calci a un pallone. Non lo avevano invitato, perché lui era piccolo: troppo piccolo per giocare con loro, troppo piccolo per fare qualsiasi cosa se non dormire. Sdraiato sul dorso, guardò verso l’alto, mise la mano sopra gli occhi per proteggersi dalla luce solare che faceva capolino tra le fronde dell’albero che lo sovrastava. Si sentiva ancora più piccolo, un misero moscerino, come quello che aveva schiacciato sulla sua guancia in modo energico, lasciando il segno delle cinque dita. Si immaginò di essere uno scoiattolo e di inerpicarsi felice, con una nocciola tra gli incisivi, su quei rami pieni di foglie variopinte: chissà se sarebbe riuscito a toccare il cielo prima che il sole svanisse, ingoiato dalla sera che si stava approssimando a grandi passi… Tino – così lo chiamavano tutti per abbreviare il suo nome, neanche il pronunciarlo per intero rubasse loro del tempo prezioso – adorava l’ora del crepuscolo, quando la luce del sole virava al rosso stendendo una coperta di calore su tutte le cose, regalando la promessa di una limpida serata e di un domani luminoso e assolato. Non sentiva più le voci degli altri bambini, intorno a lui solo silenzio. Gli adulti non erano ancora tornati da qualunque posto fossero andati, all’improvviso si alzò un lieve venticello che lo fece rabbrividire. Tino si avvolse nella coperta su cui era steso e si dedicò al suo passatempo preferito: contare le foglie sui rami. Gli piaceva l’aritmetica e, nonostante fosse ancora piccolo, sapeva contare fino a mille. Sarebbe bastato per calcolarne il numero esatto? Sarebbe stato sufficiente per coprire il tempo necessario agli altri per tornare? Uno, due, tre… I numeri si succedevano nella mente di Robertino, la luce si affievoliva sempre di più, ma lui continuava imperterrito: centoventi, centoventuno, centoventidue… Le foglioline si divertivano a muoversi come se seguissero il ritmo musicale della sua voce. Un suono soave che accompagnò Tino in un sonno profondo popolato da gnomi e fatine, da scoiattoli e uccellini che gli facevano compagnia sui rami del grande albero, tra foglie che cambiavano colore con il mutare della luce solare a quella lunare. Tino allungò il braccio e con la sua manina cercò di toccare la luna. Era intera e sembrava sorridergli da lassù, in mezzo a tutte quelle stelle… Quante saranno state? Più di mille? Una, due, tre… Una calda carezza sfiorò la guancia di Robertino, a fatica aprì gli occhi e vide il dolce viso della mamma chino su di lui, le buttò le braccia al collo e le scoccò un tenero bacio. Dietro di lei l’albero si stagliava ancora fino al cielo, mentre gli ultimi raggi di sole filtravano tra le… Quante saranno state le foglie? Una, due, tre…