Pericle e Aspasia

“Il segreto della felicità è la libertà, il segreto della libertà è il coraggio.”                                                                                                   

Pericle

ell’articolo di marzo ho accennato solo di sfuggita alla storia d’amore tra Pericle e Aspasia e vorrei proporvela questo mese.

Dovete sapere che la donna, nel mondo greco, aveva ben pochi privilegi. L’ideale era la donna-ape, quella tutta casa e figli che non usciva mai, che non eccedeva in nulla, che non contraddiceva il marito e sopportava di vedere quest’ultimo frequentare prostitute, etere o addirittura ragazzi giovani. Persino le abitazioni erano divise in andronìtis, l’appartamento al piano terra riservato al marito, e in gineceo, sito al primo piano e riservato alla moglie e alle schiave. Eppure ci furono donne che riuscirono a distinguersi per la loro intelligenza e la loro preparazione culturale, come Ipparchia, Aspasia, Ipazia, Frine. E molte di queste furono “cortigiane”. Costoro non erano semplici prostitute. Come le geishe giapponesi, erano colte, intelligenti, preparate in ambito politico, musicale e letterario, pagavano le tasse, accompagnavano l’uomo laddove alla moglie ufficiale non era concesso. Chi voleva un’etera doveva anche mantenerla e a volte le spese erano così esose da doverla “possedere in comproprietà”. Tuttavia, non è detto che Aspasia lo sia stata davvero, né che lo sia stata per tutta la vita. Neppure Platone, misogino, antidemocratico, accanito detrattore di Aspasia, la definì mai come una prostituta. Ma veniamo ora ai nostri due protagonisti. 

Aspasia era originaria di Mileto, l’odierna Balat, in Turchia, un’importante colonia greca (qui nacque la filosofia, nel VI sec a.C.). Apparteneva a una famiglia benestante, tanto da aver avuto, a differenza delle donne ateniesi, un’ottima istruzione. Era raffinata, elegante, arguta. Nata nel 470 a.C., lasciò la nativa Mileto insieme alla sorella e al cognato Alcibiade il vecchio quando, allo scadere dei dieci anni previsti dall’ostracismo, la condanna all’esilio, egli poté rientrare in patria. Costui era imparentato con lo statista che dal 469 a.C. continuava ad essere eletto ogni anno al governo di Atene: Pericle. Tra Aspasia e Pericle scoppiò la passione. Negli anni a seguire, ella sarebbe stata la sua amante, la sua maestra di retorica, la sua eminenza grigia.

Pericle, nato nel 495 a.C., aveva origini aristocratiche e apparteneva alla ricca famiglia degli Alcmeonidi, discendenti di Nestore, un personaggio tra storia e leggenda, citato persino nell’Iliade e nell’Odissea come esempio di saggezza. Ebbe come maestri Protagora, Zenone e Anassagora. Brillante retore, ambizioso, scaltro, famoso per i costumi morigerati (i figli di primo letto l’avrebbero accusato di taccagneria) e aveva istituito il regime democratico. Grazie all’introduzione di indennizzi per i meno abbienti, Pericle aveva infatti permesso al popolo di partecipare alla gestione politica della città. Quando conobbe Aspasia, lei aveva una ventina d’anni e lui era già cinquantenne, sposato e con prole. Per quella giovane straniera, Pericle divorziò consensualmente, procurò un nuovo compagno alla moglie e iniziò a vivere con la giovane milesia, da cui ebbe persino un figlio, Pericle il giovane.  

I due istituirono un circolo frequentato dai maggiori esponenti della cultura del tempo, come lo scultore Fidia, Erodoto, Anassagora, Sofocle, Socrate. Senofonte e sua moglie avrebbero frequentato la loro casa tra 405 e 400 a.C. Pericle e Aspasia erano una coppia potente, controcorrente (lui la baciava addirittura in pubblico, destando grande scandalo) ed erano tanto amati quanto odiati: Aspasia, donna straniera ed emancipata, fu spesso bersaglio dei maligni, mentre Pericle era deriso per gli ingordi appetiti sessuali e attaccato come politico. Tra gli avversari più accaniti è da menzionare il commediografo Aristofane, che sbeffeggiò i due e i loro amici nelle sue stesse opere (ricordo “Le nuvole”, in cui prende di mira Socrate). L’infamia ricadde presto anche sugli amici: Fidia morì dopo essere stato incarcerato, Anassagora venne processato come la stessa Aspasia, Socrate sarebbe stato condannato a morte per avvelenamento nel 399 a.C.

Il periodo d’oro di Atene si rivelò purtroppo molto effimero: a seguito di alcune infelici scelte effettuate dallo statista: Pericle usò infatti i soldi versati dagli alleati della lega Delio-Attica per abbellire la propria città e mosse guerra contro Sparta. Iniziò così quel periodo di lotte intestine passate alla storia col nome di “guerre del Peloponneso”. Al termine del primo anno di combattimenti, scoppiò una terribile epidemia di peste nera. Pericle venne incolpato di ogni disgrazia, fu destituito e dovette pagare una salatissima multa. Si ritirò a vita privata e si prese cura, insieme ad Aspasia, degli amici e dei familiari colpiti dal terribile morbo. La situazione politica si aggravò e gli Ateniesi invocarono Pericle al comando, che però morì di peste nel 429 a.C.

Aspasia contrasse nuove nozze, al fine di ottenere protezione, con Lisicle e morì nel 400 a.C. 

Aspasia

un breve racconto da me scritto e ispirato a questa figura storica

Un velo nero è calato e si è posato, lieve come una ragnatela, sulla città. Ha ricoperto come una tenera seconda pelle ogni edificio, ciottolo, ramo d’ulivo, ogni tempio e colonna, si è posato sul mare, sulla terra, sulle persone. Aleggia al di sopra della mia testa, sottraendomi il cielo. I suoni sono ovattati, tutto è grigio e distante. Non mi riferisco alla peste che sta facendo scempio degli Elleni, bensì al mio inconsolabile dolore. Mi mancano le forze e il respiro. Una spada è profondamente conficcata nel petto.

Atene non può capire la mia sofferenza. A dire il vero, Atene non ha mai nemmeno tentato di capirmi. Mi condannò senza appello fin dal giorno del mio arrivo perché ero una straniera, perché non ho mai voluto chinarmi alla morale comune, perché sono sempre stata una donna incapace di tacere e dotata di talento per la politica. Insegno l’economia domestica alle spose, allo scopo d’aiutarle a emanciparsi, e per questo fui accusata d’empietà e corruzione. Prigionieri della consuetudine, gli ateniesi non accettano la mia natura libera. Tutta invidia, perché anche loro vorrebbero farlo, ma non osano. È più facile screditare chi ha più coraggio di te. La gente, poi, ama i particolari scabrosi e se non ve ne sono se li inventa. Così, anche se ho trascorso vent’anni al suo fianco, io sono ancora la sgualdrina che ha sottratto il marito alla mogliettina perfetta. Gli altri riescono a notare sempre e solo il marcio. Perfino oggi.

Vi ho visto, lì in gruppo, in disparte. Ho udito le vostre chiacchiere, per quanto sussurrate, e ho sentito i vostri sguardi accusatori indugiare su di me. Almeno adesso, datemi tregua, ve ne prego. Non dite che piango solo perché non potrò più permettermi di fare la bella vita. Abbiate un po’ di decenza, lasciatemi in pace finché non si spegnerà questa pira, finché il fuoco non avrà… Non riesco nemmeno a formulare il pensiero. Sollevo gli occhi gonfi, ricolmi di amare lacrime, sulle fiamme che si pascono della sua carne, o meglio, di quel che la peste ha risparmiato.

Il mio caro, amato Pericle! Il nero morbo me l’ha portato via, in quel modo così straziante. Sebbene mi sia prodigata con ogni mezzo, giorno e notte, senza mai darmi tregua, il mio sapere non è servito a salvarlo. Non ho mai neppure potuto dargli una carezza per confortarlo, lui non mi permetteva di farlo perché temeva di contagiarmi. Mi lasciò solo la raccomandazione di trovarmi al più presto un nuovo protettore e mi fece il nome di Lisicle, un uomo che stava diventando un personaggio di spicco. Secondo lui sarebbe potuto essere un buon compagno. Chinai il capo. Pericle aveva ragione: una volta rimasta sola i nostri nemici non mi avrebbero dato alcuna tregua e un’etera come me, da vedova, è spacciata. Se avessero saputo del suo piano e della mia muta accettazione, i nostri detrattori avrebbero scoperto che in realtà ero una compagna più tradizionale di quanto avrebbero mai potuto immaginare. Adesso però non voglio pensare al futuro, voglio solo piangere il mio amore perduto. Domani rialzerò la testa e sarò di nuovo Aspasia.   

Elisabetta Ferri